IL MISTERO DEI 2 MILA CADUTI RUSSI IN UCRAINA

IL MISTERO DEI 2 MILA CADUTI RUSSI IN UCRAINA

Pskov, Kostroma, Saratov, Voronezh, Nizhny Novgorod, Bashkiria, Riazan: ormai le denunce di soldati «dispersi» fioccano da tutta la Russia. E a ipotizzare un coinvolgimento diretto di Mosca nella guerra in Ucraina non è più solo Kiev: in prima linea, come ai tempi della guerra in Cecenia, c’è il Comitato delle madri dei soldati russi, che mercoledì da Stavropol ha stilato una lista di 400 nomi di militari, di leva e professionisti, «morti o feriti in circostanze sconosciute» di recente, presumibilmente in Ucraina. Chiedendo verità: «Qui non ci può essere alcun segreto di Stato. Difendere la propria patria e combattere in un Paese straniero sono due cose ben diverse».  

Le informazioni hanno cominciato a «colare» lunedì quando diversi media indipendenti, tra cui la tv d’opposizione Dozhd e Novaya Gazeta, bisettimanale di Anna Politkovskaya, hanno pubblicato foto dei funerali svoltisi in gran segreto a Pskov, di almeno due paracadutisti della 76esima divisione aviotrasportata Chernigova, Leonid Kichatkin (nato nel 1984) e Alexander Osipov (del 1993), morti il 19 e 20 agosto, ufficialmente per «infarto e ictus»: ma secondo alcuni presenti alle esequie, combattendo in Ucraina. I reporter che nei paraggi hanno visto altre due tombe fresche di paracadutisti della stessa unità, sono stati aggrediti, minacciati e cacciati dal cimitero. Il giorno dopo, i nomi sulle lapidi erano spariti. Cancellati gli account Facebook di quasi tutti i militari della divisione.  

La tomba di un paracadutista della 76esima divisione Chernigova morto il 20 agosto ufficialmente «per infarto»

La tomba di un paracadutista della 76esima divisione Chernigova morto il 20 agosto ufficialmente «per infarto»

Ma le segnalazioni di famiglie in ansia che hanno perso i contatti da giorni con i propri cari in servizio, si sono moltiplicate. Quasi tutti erano partiti il 15 agosto per una «esercitazione» a Rostov sul Don, nel sud della Russia a pochi chilometri dal confine ucraino. Come Ilya Maksimov, figlio di Liuba che, disperata dopo aver visto la patente del figlio sulle tv ucraine, da Saratov ha chiesto scusa agli ucraini: «Se vi ha fatto del male, vi chiedo di perdonarlo. È un militare, obbedisce agli ordini. Se lo avete, sono pronta a venire a prenderlo». Il giorno dopo Ilya si è fatto vivo col padre: «Sto bene, sono a Rostov». Ma altri parenti – che rifiutano di parlare direttamente alla stampa - avrebbero riferito alle Madri di telefonate dall’Ucraina con la richiesta di «venire a prendere il cadavere».  

E ieri una trentina di mogli e madri di paracadutisti si sono presentate davanti alla base militare di Kostroma chiedendo al governo chiarezza su dove si trovino i loro uomini. Una di loro ha contato circa 350 «dispersi»: alcuni sarebbero tornati nelle bare, e 15 feriti. Il giorno prima nella stessa città, le madri dei 10 paracadutisti arrestati da Kiev domenica con l’accusa di essere in «missione speciale» in Ucraina («sconfinati per errore» secondo Mosca), avevano rivolto tra le lacrime un appello a Putin e al ministro della Difesa: «Vi imploro, restituitemi il mio bambino. Portatelo a casa vivo».  

«Una pura provocazione, sono tutti vivi e vegeti» per il comandante delle Truppe aviotrasportate delle Forze Armate russe Vladimir Shamanov che nega tutto. Ma mercoledì sera anche il portavoce del presidente russo, Dmitri Peskov, ha dovuto commentare i fatti di Pskov: «Queste informazioni vanno senza dubbio verificate in dettaglio». Mentre da Donetsk il «premier ribelle» Zakharchenko ha ammesso che, oltre ai volontari, «molti soldati russi» combattono coi separatisti, ma «in congedo» durante le proprie vacanze: 3-4 mila in tutto dall’inizio del conflitto.  

Per ora, nessuna prova concreta. Ma sul web russo non si parla d’altro, a fronte del silenzio dei media ufficiali. E la lista, annunciano le Madri, «Continua ad aggiornarsi». Nell’elenco figurano abitanti di Voronezh, Vladikavkaz e Cecenia e Daghestan, regioni povere del Caucaso dove, secondo fonti locali, alcuni avrebbero accettato un forfait di 5 mila euro per combattere come mercenari nel Donbass. Per il quotidiano daghestano «Chernovik», le leve verrebbero addirittura «spinte» a licenziarsi prima, per poi poter figurare come «volontari» nel Donbass. Costretti a firmare contratti per combattere a Lugansk «con la forza», sostiene Valentina Melnikova, capo del Comitato delle Madri che stima ben 15 mila militi russi in Est Ucraina. 

E a muoversi ora è anche il Consiglio presidenziale russo dei Diritti Umani, chiedendo un’inchiesta su un altro incidente: 9 soldati professionisti dal Daghestan morti a Rostov tra il 10 e l’11 agosto. Un suo membro, Ella Poliakova, rende noto di un «carico» con circa 100 soldati feriti arrivato all’ospedale militare Kirov di San Pietroburgo due giorni fa. «Riecco i Cargo 200» commenta l’autorevole foglio finanziario «Vedomosti», evocando le «bare di zinco» che tornavano dall’Afghanistan con i cadaveri dei soldati sovietici seppelliti in segreto: «Siamo in guerra contro l’Ucraina, o no? E se sì, perché?». Per Boris Vishnevsky, membro dell’Assemblea legislativa di San Pietroburgo, «c’è una sola risposta logica: non rispondono perché non si possono resuscitare i morti, anche con tutta la forza della propaganda del Cremlino».  

Inserito da Cristina Genna Blogger

 

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